RISARCIMENTO
DEL DANNO PER MANCATA CORRESPONSIONE DEI MEZZI DI SUSSISTENZA AL FIGLIO
NATURALE
( Cassazione -
Sezione Prima Civile - Sent. n. 7713/2000 - Presidente P. Reale - Relatore M.R.
Morelli )
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
sentenza del 31 ottobre 1992, il pretore penale di Mestre assolveva F. C. dal reato
di cui all'articolo 570.2 c.p. - del quale era stato chiamato a rispondere per
aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio naturale D. H.C. -
ritenendo esclusa la sussistenza di tal reato in ragione del fatto che al
mantenimento del minore aveva comunque provveduto la madre naturale D. H.C.. Su
ricorso proposto per i solo interessi civili, in nome e per conto del minore,
dalla H.C. (già, in tal veste, parte civile nel giudizio a quo) l'adita Corte
di cassazione - premesso che aveva errato il giudice penale nel non applicare
il principio per cui lo stato di bisogno sussiste anche qualora alla
somministrazione dei mezzi di sussistenza provveda un solo genitore «essendo, invece,
entrambi egualmente obbligati» - cassava, conseguentemente, con sentenza
566/1994, la statuizione pretorile e, ai sensi del previgente articolo 541
c.p.p., rinviava alla corte di Venezia «per i soli effetti civili». Con
citazione del settembre 1995, D. H.C. (per mezzo della madre e poi, raggiunta
la maggiore età, in proprio) conveniva in giudizio F. C. innanzi alla designata
Corte di rinvio. All'uopo deduceva di essere figlio dello appellato, come
accertato con sentenza del 12 marzo 1987, la quale aveva posto a di lui carico
anche un assegno di mantenimento decorrente (come da parziale riforma in
appello) dalla data della domanda giudiziaria; che solo a seguito di convenzione
del giugno 1990, il C. aveva comunque pagato gli importi per tale titolo da lui
dovuti «a partire dal settembre 1984» (mentre, per il periodo antecedente, con
separata sentenza, era stata accolta la domanda risarcitoria proposta dalla
H.C. per il mantenimento esclusivamente da lei assicurato al figlio, dalla
nascita). E, ciò premesso, chiedeva conseguentemente, a sua volta, il
risarcimento dei danni personalmente subiti, «sia sotto il profilo affettivo
che economico», in conseguenza del comportamento intenzionalmente e
pervicacemente defatigatorio del padre naturale. Con sentenza del 7 novembre
1997, la Corte veneziana accoglieva la domanda e, in via equitativa,
quantificava in 30 milioni di lire i danni che riconosceva subito dall'istante
in conseguenza dell'ingiusto comportamento del padre naturale. Avverso
quest'ultima sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato
anche con memoria ex articolo 378 c.p.c.. Nel costituirsi in questo giudizio,
con congiunto controricorso, D. e D. H.C. hanno eccepito, entrambi, l'improcedibilità
del ricorso per omesso deposito della prescritta copia autentica della sentenza
impugnata e - la sola D. - il proprio difetto di legittimazione passiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va
preliminarmente respinta l'eccezione di improcedibilità del ricorso poiché,
contrariamente a quanto dedotto da resistenti, il C. non ha mancato di
depositare la copia autentica della sentenza impugnata come prescritto
dall'articolo 369 c.p.c..
Accolta
va invece l'ulteriore eccezione della H.C. - ed il ricorso va di conseguenza
nei suoi confronti dichiarato inammissibile - per non essere essa parte del
giudizio risarcitorio promosso contro il C. dal di lui figlio naturale.
Anche
nei confronti di D. H.C. l'odierno ricorso è comunque in ogni sua parte
infondato.
Privi
di giuridica consistenza risultano, infatti, i primi tre connessi motivi di
detta impugnazione, con i quali - nella triplice prospettiva della elusione del
dictum della sentenza di rinvio ex articolo 384 c.p.c., del vizio di
ultrapetizione ex articolo 112 stesso codice e della carenza di motivazione -
sostanzialmente si addebita al Collegio a quo di aver omesso di svolgere
l'ulteriore istruttoria, che gli sarebbe stata demandata con la precedente
sentenza di cassazione, in ordine, alla effettiva sussistenza di una
responsabilità civile del C.. Ed invero ciò che la richiamata sentenza della
Cassazione penale aveva demandato al giudice del rinvio - in conseguenza
dell'annullamento del giudicato assolutorio del C. dal reato di cui all'articolo
570 cpv. c.p. - era «un nuovo esame dei fatti ai soli fini civili». Ed è
evidente che la prescrizione di un tale riesame non equivale né contiene in sé,
come a torto ex adverso preteso, anche l'«obbligo di acquisire nuove prove»,
che motivatamente quei giudici hanno comunque ritenuto superflue ai fini del
decidere. Parimenti non condivisibili sono poi tutte le ulteriori censure svolte
nel residuo quarto (ancorché non formalmente numerato come tale) mezzo del
ricorso, con cui si attacca la statuizione risarcitoria per la (non rilevata)
«inesistenza, nella fattispecie, di alcun danno risarcibile in correlazione con
il fatto residuale naturalisticamente addebitato al C.», e la conseguente non
ricorrenza dei presupposti per una «decisione equitativa ai sensi dell'articolo
114 C.p.c.». In relazione al primo e più rilevante profilo di doglianza, anche
in sede di discussione orale la difesa del ricorrente ha tenuto a ribadire il
carattere “suicida” della sentenza impugnata, la quale avrebbe liquidato il
contestato risarcimento ancorché avesse in premessa accertato la già
intervenuta corresponsione da parte del C., in parte al figlio e in parte alla
H.C., di tutto quanto da lui dovuto a titolo di mantenimento o di concorso del
mantenimento nei confronti del minore; e non ostante avesse - la stessa
sentenza – altresì sottolineato come, nella specie, (a prescindere dal “danno
patrimoniale”, così escluso) neppure alcun “danno morale” fosse liquidabile, in
conseguenza della esclusa illiceità del fatto per effetto della sentenza
pretorile assolutoria, passata in giudicato agli effetti penali. Ma tali rilievi,
pur suggestivi, non valgono a scalfire la statuizione contestata. A prescindere
infatti dalla considerazione che il pagamento, pacificamente effettuato a molti
anni di distanza dalla nascita del piccolo D., sia pur di tutti gli arretrati
dovuti dal C., a titolo di mantenimento secondo le prescrizione del giudice
civile, non esclude residuali profili di danno patrimoniale (conseguenti proprio
al rilevante ritardo della erogazione), è assorbente comunque il rilievo che
ciò che soprattutto la Corte veneziana, nella specie, ha inteso risarcire è la
lesione in sé, che dal comportamento del ricorrente (di iniziale ostinato
rifiuto di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza) ne è scaturita di
fondamentali diritti della persona, in particolare inerenti alla qualità di
figlio e di minore. E, in questa prospettiva, non v'è dubbio che il
comportamento sanzionato dall'articolo 570 del codice penale - sia pur
costituito nella sua materialità dalla mancata corresponsione di mezzi di
sussistenza – rilevi, sul piano civile, in termini di violazione non di un mero
diritto di contenuto patrimoniale ma di sottesi e più pregnanti diritti
fondamentali della persona, in quanto figlio e in quanto minore. Ed è poi del
pari innegabile che la lesione di diritti siffatti, collocati al vertice della
gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione
risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente
dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno
conseguenza). Il che è stato del resto già ben posto in luce dalla Corte
costituzionale con la nota sentenza 184/1986, relativa al danno-evento da
lesione del diritto alla salute (cd. danno biologico) ma riferibile (per la
latitudine dei suoi enunciati) ad ogni analoga lesione di diritti comunque
fondamentali della persona, risolventesi in un danno esistenziale ed alla vita
di relazione. La vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente
valori personali impone, infatti, una lettura costituzionalmente orientata
dell'articolo 2043 Cc. (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di
incostituzionalità) «in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i
predetti valori», nel senso appunto che quella norma sia «idonea a compensare
il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito»,
attraverso «il risarcimento del danno [che] è sanzione esecutiva del precetto
primario ed è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela
di un interesse». Il citato articolo 2043 Cc, correlato agli articoli 2 e ss.
Costituzione, va così «necessariamente esteso fino a ricomprendere il
risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i
danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della
persona umana». Per cui, quindi - essendo le norme costituzionali di garanzia
dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente, operanti
«anche nei rapporti tra privati» (cd. drittwirkung) - «non è ipotizzabile
limite alla risarcibilità», della correlativa lesione, «per sé considerata»
(184/1986 cit.), ai sensi dell'articolo 2043 Cc: che, per tal profilo la Corte
veneziana ha per ciò correttamente applicato, riconoscendo all'attore il
ristoro del danno (non già “morale” da illecito penale, ma) da lesione in sé di
suoi diritti fondamentali, in conseguenza della riferita condotta del suo genitore.
D'altra parte il contenuto stesso del danno riconnesso ad un tal tipo di
lesione ne comporta naturaliter la liquidazione equitativa: che resta, a sua
volta, così immune da censure (in ricorso impropriamente, per di più, formulate
sull'erroneo presupposto di equivalenza di una tal liquidazione ad una
statuizione secondo equità ai sensi dell'articolo 114 C.p.c.).
Il
ricorso nei confronti di D. H.C., va pertanto integralmente respinto.
Le
spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, come in
dispositivo, in favore di ciascun resistente.
PER QUESTI MOTIVI
La
Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti di D. H.C. e lo rigetta
nei confronti di D. H.C.; condanna il ricorrente alle spese che liquida, in
favore di ciascun resistente, in lire 173mila oltre a lire 2 milioni per
onorario.