1.- Il momento quantitativo della prestazione. 2.- Cosa chiede il telelavoratore subordinato? 3.- l’imprenditore e la teleprestazione. 4.- La parasubordinazione. 5.- La subordinazione. 6.- La subordinazione tecnica. 7.- La direttiva 89/391 in materia di sicurezza. 8.- Il d.gls.626/94. 9.- E’ possibile violare il domicilio del telelavoratore?
1.- Il momento quantitativo della prestazione.
L’innovazione tecnologica viaggia sicuramente al quadrato rispetto alla lenta risposta che quasi sempre, sistemi giuridici obsoleti, cercano di rendere anche perché i modelli presenti nelle nostre leggi ordinarie e nei nostri codici si rifanno a sistemi dell’epoca preindustriale ed industriale e denotano una carente comparazione con i sistemi informatici della nuova era.
Il punto che preme ancora sottolineare, che è quello
di partenza, poiché le argomentazioni sembrano meglio articolarsi, è sulla
domanda di flessibilità che vuole la società e
di riflesso i lavoratori.
Abbiamo detto che il telelavoro rappresenta una delle sfide più audaci ai
modelli di organizzazione del lavoro;
una sfida fondata sul decentramento ma che per le sue notevoli capacità tecnologiche di
sfruttamento, in qualche modo
tende sempre ad un nuovo
accentramento strutturale più o meno espanso.
Alla stessa stregua il telelavoro rappresenta una
sfida sofisticata alla stessa capacità di interventi dei tradizionali modelli
di tutela legale dei lavoratori, oltrepassando gli stessi confini del
territorio comunale con cui l’art. 35 della l. N. 300 del 20 maggio 1970 tenta
di frenare le tendenze centrifughe, implicitamente, incentivate proprio dalla
soglia dimensionale dei quindici dipendenti da esso prevista.
Il telelavoro ribadiamolo è inteso come la prestazione
di chi lavora, con un video terminale, topograficamente al di fuori
dell’impresa cui la prestazione si inserisce (1).
Il ruolo del video terminale, appare quindi decisivo
nella qualificazione di questa fattispecie, non potendovi rientrare le ipotesi in cui tale strumento sia solamente utilizzato
in funzione di supporto.
Tanto che la tradizionale identificazione del
telelavoro, in senso quantitativo, operata dalla contrattazione collettiva (più
del 50 % dell’orario di lavoro svolto davanti al video terminale) (2) trova
un’indiretta conferma anche nella recente legislazione italiana in materia di sicurezza del lavoro, la quale,
pur occupandosi del lavoro all’interno di un’impresa, si rivolge ad un
lavoratore che utilizzi il video terminale in modo sistematico ed abituale, per
almeno quattro ore consecutive giornaliere, dedotte le pause, per tutta la
settimana lavorativa.( art. 51, d.gls. n. 626 del 1994).
Tuttavia, il dato strumentale costituisce soltanto
il minimo comune denominatore di una serie di figure di telelavoro, di cui non
è possibile accreditare un’immagine unitaria,
emergono allora ulteriori distinzioni riguardo al profilo soggettivo, al
momento quantitativo ed a quello qualitativo della prestazione.
Il telelavoro può essere svolto da un singolo, da
una comunità familiare, da più soggetti che variamente associati tra loro,
operino in un locale distinto dall’azienda madre.
Rispetto al momento quantitativo della prestazione,
la distribuzione topografica, del singolo potrà effettuarla parte in azienda, parte al proprio
domicilio, oppure completamente davanti al suo videoterminale domestico.
E’ in relazione al momento qualitativo della
prestazione, dato dal collegamento tra il lavoratore e l’azienda, che emergono
le differenze più marcate:
1) Il caso
più semplice è quello che potremo definire del telelavoro “off line” in cui il telelavoratore, dietro
istruzioni preventive e con controllo successivo dell’imprenditore, svolge
un’attività d’elaborazione dati, per proprio conto, senza alcun collegamento
elettronico con computer - madre posto in azienda, alla quale solo successivamente
fa pervenire i dati (3).
Quest’ultima fase può svolgersi semplicemente per
posta, mediante l’invio di floppy disk, o cd rom; vista oggi l’intensa
presenza dei masterizzatori che
permettono una durata e quindi un miglior rendimento stabile dei dati in esso
contenuto, per molti anni e non sono sottoposti a delle regole rigide di
conservazione come i floppy riguardo
alle fonti di calore e alle fonti elettromagnetiche che investono il campo
superficiale del registro ottico o magnetico. Dati contenuti in questi che
possono essere rielaborati e trasmessi mediante trasmissione telefonica diretta all’azienda con l’ausilio di un
modem.
2) Vi è poi il caso che potremmo chiamare di
telelavoro “one way”, in cui il telelavoratore
svolge la propria attività su un video terminale domestico posto in collegamento con il computer - madre, al quale i dati
affluiscono direttamente senza che sia
però possibile un controllo diretto sul terminale domestico: si tratta di un
collegamento a senso unico, come nel caso
di una telescrivente molto perfezionata (4).
3) Infine vi è l’ipotesi di telelavoro “on line” o
interattivo che più d’ogni altra
caratterizza la fattispecie ; il
lavoratore opera su di un video
terminale inserito in rete di
comunicazione elettronica che permette
un dialogo interattivo fra il computer - madre ed i vari computer -
terminali: in questo caso sono possibili direttive e controlli in tempo reale, molto più complicati, nascosti e penetranti di quelli tipici del lavoro
tradizionale (5).
In merito
all’inquadramento giuridico del
rapporto di telelavoro si deve soltanto
premettere che nel nostro ordinamento non esiste un divieto di decentramento
produttivo, ma permane una facoltà di dislocamento riconducibile all’autonomia
privata di cui all’art. 1322 c.c. ed alla libertà d’impresa tutelata dall’art.
41 della Costituzione.
Il 1322 c.c. rubricato autonomia contrattuale è una
specificazione del più generale principio dell’autonomia privata, che consente
ai privati di autoregolamentare i propri interessi personali e patrimoniali
mediante negozi giuridici.
Il nostro ordinamento ricordiamolo riconosce valore vincolante (forza di
legge) ai precetti stabiliti dai privati,
purché siano rispettate le norme imperative:
l’ordine pubblico, il buon costume.
Da ricordare che la libertà di concludere contratti
atipici, cioè contratti che non sono già previsti e regolati dalla legge è
sottoposta, oltre al rispetto e limite delle norme imperative a quello della
meritevolezza di tutela degli interessi.
Come accade per tutte le nuove figure di attività
lavorativa, il problema dell’inquadramento giuridico del telelavoro si risolve
in concreto in un problema di qualificazione: in assenza di una legge in
materia, l’interprete deve verificare se, nel suo svolgimento in concreto, il
rapporto di telelavoro corrisponda davvero alla qualificazione formale
attribuitagli dalle parti o se, viceversa, possa essere ricondotto ad un altro schema contrattuale.
La tendenza a ricondurre il telelavoro nell’ambito
del rapporto di lavoro subordinato, con l’applicazione della relativa disciplina
di tutela, corrisponde alla
tradizionale vocazione e capacità del diritto del lavoro di espandersi al di là
degli schemi formali: una capacità, che tuttavia, per potersi realizzare spesso
deve superare diaboliche barriere,
soprattutto quando viene a mancare il vincolo circa il luogo ed il tempo della
prestazione.
Senza dimenticare poi che gli stessi schemi formali
non sono del tutto irrilevanti, si deve infatti ricordare la tendenza della
giurisprudenza a rivalutare la volontà contrattuale espressa dalle parti: pur
non rappresentando un valore assoluto, (dovendo essere sempre verificata alla
luce dell’effettivo contenuto del rapporto), la volontà acquista la funzione di
indicatore privilegiato, ogni qual volta, la riconducibilità al caso concreto
alla fattispecie tipica, sia oggetto di controversia e soprattutto quando,
l’assetto di interessi effettivamente posto in essere, sia pienamente
compatibile con tale volontà; in altri termini, quando le parti, nel regolare i
loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l’elemento di
subordinazione. Non è possibile specie
nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili con più tipi di
rapporti pervenire ad una diversa qualificazione se non dimostra che in
concreto, l’elemento della subordinazione, sia, di fatto, realizzato nello
svolgimento del rapporto alla luce del
nostro diritto positivo sono possibili almeno 5 qualificazioni giuridiche del
telelavoro: tre riguardano il lavoro autonomo
e due quello subordinato (6).
La prime contemplano i casi di telelavoro
imprenditoriale, al lavoratore autonomo e lavoratore parasubordinato.
Le seconde il lavoratore subordinato a domicilio, ed
il lavoratore subordinato nell’impresa. E’ appena il caso di rilevare come
l’ordine di elencazione di queste figure sia inversamente proporzionale al
livello della tutela prestata dal
diritto al lavoro che, del tutto inesistente
nelle prime due ipotesi, tende lentamente a crescere fino ad emergere
pienamente soltanto nell’ultima figure cioè quella del lavoratore subordinato
nell’impresa.
3.- L’imprenditore e la teleprestazione.
La teleprestazione può essere qualificata come vera
e propria attività imprenditoriale ai sensi del 2082 c.c. quando sia effettuata da un singolo o da un
gruppo che sì avvalga dell’apporto prevalente, rispetto al proprio lavoro, di attrezzature
e di mezzi di altri soggetti dipendenti.
Naturalmente, al telelavoratore imprenditore non si
applica nessuna delle norme del diritto del lavoro e le relazioni tra le varie
imprese sono regolate dal diritto commerciale.
Tuttavia questa categoria rischia di rivelarsi un
terreno fertile di sottotutele e di inapplicabilità in parte legali, di
garanzie normative nel caso in cui l’impresa sia legata da un forte, se non
esclusivo rapporto di dipendenza economica rispetto ad un’azienda – madre (7).
L’ipotesi più rilevante è quella dell’imprenditore
individuale saldamente legato al ciclo produttivo dell’impresa committente, ad
esempio il telelavoratore, che per potersi collocare competitivamente sul
mercato è costretto a munirsi di attrezzature di sua proprietà che risultino
prevalenti rispetto all’apporto del
lavoro personale (il che nel caso di strumenti sofisticati come quelli
informatici) non è per nulla difficile.
In tali casi il diritto non lascia
margini di recupero di tutela così come
accade sempre rimanendo in tema di
imprese che non producono per il mercato, ma per un singolo committente nelle
ipotesi di lavoro associato o di imprenditori con dipendenti:
1) nel caso di lavoro associato, qualche varco per
il diritto del lavoro potrebbe aprirsi
ritenendo il lavoratore a domicilio e quindi subordinato, solo uno degli
associati, dimostrando che la prestazione degli altri lavoratori è del tutto
accessoria (8);
2) nel caso (9) di imprenditore con dipendenti,
l’unica possibilità per far operare la tutela lavoristica è quella assai
difficile, di dimostrare la sussistenza di uno pseudo appalto ai sensi della
legge n. 1369 del 1960 che qualifica comunque come subordinati i rapporti di
lavoro prestati alle apparenti dipendenze di un intermediario dell’unico vero
imprenditore beneficiario della prestazione.
Il che potrebbe avvenire qualora l’imprenditore o
meglio l’impresa madre abbia fornito i videoterminali e le altre
apparecchiature, tuttavia è evidente come questo elemento della fornitura dei mezzi di lavoro sia
facilmente eludibile, essendo sufficiente che l’impresa committente affidi il
telelavoro a soggetti già in possesso di tutti gli strumenti di lavoro.
E’ quindi presumibile che questa categoria di
telelavoratori - imprenditori possa
allargarsi a dismisura, ma in modo del tutto artificioso, inglobando per lo più
figure economicamente deboli, lasciando come del tutto marginale l’attività di
chi corre veri e propri rischi di impresa rivolgendosi al mercato.
Ricordiamo che l’art 1 della legge 23 ottobre 1960
n. 1369 pone il divieto
all’imprenditore di affidare in appalto
o in sub-appalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative,
l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera
assunta e retribuita dell’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la
natura dell’opera o del servizio cui le
prestazioni si riferiscono. Nel precedente
periodo si parlava della dimostrazione o meglio nel voler dimostrare uno
pseudo appalto, altrimenti è di non
applicazione il caso presupposto.
La seconda categoria è quella del lavoro
autonomo di cui all’art 2222 c.c.
ovvero della piccola impresa di cui all’art 2083 c.c., che si distingue dalla
precedente perché la prestazione è
caratterizzata dalla prevalente personalità (10).
Per essere inquadrato in questo schema, il
telelavoratore deve servirsi solo in via ausiliaria , cioè in misura non
prevalente rispetto all’apporto del proprio lavoro, di manodopera esterna e di
attrezzature lavorative (essendo peraltro difficile affermare la prevalenza del
lavoro personale rispetto all’apporto del video terminale).
Anche l’inquadramento di questa figura che,
come la precedente, rischia di diventare eccessivamente retorica in quanto, comporta la totale
disapplicazione della normativa di tutela del diritto del lavoro.
Abbiamo visto che per il lavoro autonomo è stato
menzionato il 2083 del c.c. piccoli imprenditori, sono piccoli imprenditori i coltivatori
diretti del fondo, gli artigiani i piccoli
commercianti e coloro che esercitano un’attività organizzata prevalentemente con il lavoro
proprio e dei componenti della famiglia.
La norma intende qualificare preliminarmente e non
tassativamente alcune tra le più comuni
figure che piccoli imprenditori. Nell’intento del legislatore, è destinata ad avere una funzione descrittiva diretta ad
indicare i requisiti essenziali affinché un soggetto possa essere
qualificato piccolo imprenditore.
Per la nozione di piccola impresa menzionata nel
2083 c.c., ai fini della concessione di
agevolazione vedi art. 1 della legge 5 ottobre 1991 n. 317 (interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese, nonché D. Min. Industria 22 marzo 1994 (definizione
di piccola e media impresa da applicare alle normative agevolative) (11).
Il 2222 c.c. menziona il fatto che quando una
persona si obbliga a compiere per un corrispettivo un’opera o un servizio, con
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti
del committente si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto
abbia una disciplina particolare (12).
4.- La parasubordinazione.
Per il lavoratore parasubordinato, in certi casi, il nostro ordinamento riconosce
l’applicabilità di una parte della
normativa di tutela lavoristica, anche
nei confronti del lavoro autonomo: ciò avviene quando sia configurabile un
rapporto di lavoro parasubordinato.
Come noto tale nozione, di costruzione dottrinale si riferisce a quelle prestazioni di
lavoro autonomo che siano caratterizzate, secondo quanto richiesto dall’art.
409, n.3, c.p.c., dalla presenza di tre elementi, continuità, coordinazione,
prevalente personalità.
Poiché l’inquadramento di questa categoria fa leva
essenzialmente sull’elemento dell’inserzione in un altrui organizzazione
produttiva, nella precedente categoria del lavoro autonomo potrebbero rientrare
soltanto quelle figure di telelavoratori genuinamente svincolate da rapporti
troppo diretti con un unico committente.
Va peraltro avvertito che la legge riconosce
espressamente al lavoratore parasubordinato una quota di tutela molto bassa -
la particolare disciplina del processo del lavoro e la norma che prevede
l’invalidità delle rinunzie e
transazioni (art 2113 c.c.) - mentre resta quanto mai incerta, se non
esclusa, l’applicabilità degli istituti sostanziali del diritto del lavoro
(13).
Precisiamo che l’art. 409, n.3, c.p.c. si applica nelle controversie relative
a rapporti di agenzie, di
rappresentanza commerciale, e da altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di
opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a
carattere subordinato, e questo è proprio il concetto di parasubordinazione.
5.- La subordinazione.
La subordinazione (14), agli effetti della presente
legge e in deroga a quanto stabilito
dall’art. 2094 c.c., ricorre quando il
lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa
le modalità di esecuzione, le
caratteristiche ed i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione
parziale, nel completamento o nell’intera lavorazione di prodotti oggetto
dell’attività dell’imprenditore committente. Non è lavoratore a domicilio e
deve a tutti gli effetti considerarsi
dipendente (con rapporto di lavoro a tempo indeterminato) chiunque
esegue, nelle condizioni di cui ai commi precedenti del 2094
c.c., lavori, in locali di pertinenza dello stesso imprenditore , anche se del
luogo e dei mezzi di lavoro in esso
esistenti, si deve corrispondere, al datore
di lavoro un compenso di qualsiasi natura .
Per quanto riguarda le due figure di lavoro
subordinato, è opportuno trattare prima
quella del vero e proprio lavoro
subordinato nell’impresa.
A questi telelavoratori si dovrebbe applicare tutta la normativa giuslavorista di tutela,
probabilmente con qualche adattamento della disciplina in materia di pause,
orario, tutela della salute ecc, la quale
più chiaramente, dimensionata, sulla prestazione interna all’azienda.
Questa categoria di telelavoratori rischia di essere poco affollata.
Infatti in tal caso la prestazione deve essere
rigorosamente individuale, senza alcun aiuto esterno, neppure accessorio
(laddove le attuali esigenze potrebbero richiedere aggregazioni collettive, oppure
di tipo individuale complesse, come nel caso di mansioni non particolarmente
qualificate per le quali il telelavoratore sia costretto a servirsi dell’aiuto dei propri familiari).
Inoltre, non è possibile avere neanche una minima
organizzazione di mezzi e di attrezzature, laddove l’imprenditore pretenderà
che il telelavoratore disponga già di un videoterminale di sua proprietà.
Vi è poi la possibilità di un controllo diretto e la
verificabilità , in senso lato, di un orario di lavoro. Questi elementi sono sempre possibili nei sistemi
interattivi; ma anche in alcuni casi di telelavoro off - line potrebbe essere
fattibile.
Se ad esempio
il video terminale è attuabile
digitando una certa sigla o
firma digitale, (anche non in tempo
reale); si evince quale persona ha
introdotto o elaborato determinati dati,
gli orari di lavoro, la qualità e la densità del lavoro svolto e così
via.
Sulla configurabilità della subordinazione di cui
all’art. 2094 c.c. - il cui dato essenziale consiste, nell’assoggettamento
continuo all’eterodirezione del datore di lavoro - occorre ricordare l’interessante opinione di Pietro Ichino
(15) secondo cui tale dato non può
essere identificato nel mero vincolo tecnico del rispetto delle procedute
imposte dal software di base (sistema) con cui
funziona il computer madre per l’accesso ai singoli programmi
applicativi e per il dialogo operativo fra esso e i terminali esterni.
Questo vincolo, che pure incide sulle modalità
interne di svolgimento dell’attività lavorativa, può essere piuttosto
assimilato a quello tecnico che caratterizza l’uso di tutte le macchine
complesse e che non si pone in
contrasto con l’autonomia della prestazione.
Al contrario, il potere direttivo datoriale andrebbe
individuato, in linea generale nella facoltà contrattualmente riservata al
creditore della prestazione di scegliere e di sostituire discrezionalmente ed
in qualsiasi momento il c.d. software applicativo (programma operativo
specifico): caso,il lavoratore sarebbe
rigidamente vincolato in ogni fase della sua attività alle direttive inserite
nel programma e non solo alle generali procedure necessarie per il
funzionamento della macchina.
Viceversa, qualora il lavoratore potesse scegliere
liberamente di quale programma servirsi, l’elemento dell’eterodirezione datoriale
verrebbe meno.
Lo stesso Ichino tuttavia riconosce che questa
facoltà, circa la scelta del software applicativo potrebbe non essere
evidente nel contratto e nello svolgimento del rapporto, in tal caso,
egli dubita che la sussistenza della subordinazione possa desumersi dal
solo inserimento nella rete informatica che fa capo al computer madre che, a
ben vedere rappresenta una caratteristica intrinseca del lavoro informatico.
Considerazioni non dissimili potrebbero valere anche
per il controllo continuativo, momento per momento, della prestazione .
Cosicché, nell’eventuale assenza di altri indici
(come la struttura retributiva o la struttura giuridica che normalmente
assumono le prestazioni analoghe svolte nella stessa impresa o nello stesso
settore), occorre ricorrere alla valutazione equitativa dell’art. 1371 c.c.,
non senza aver prima verificato se il rapporto possa essere ricondotto
nell’altra fattispecie di telelavoro subordinato : quello a domicilio.
Diversamente da quella del lavoro subordinato in senso proprio, la categoria
del lavoro subordinato a domicilio è una figura legata a forme di produzione
precapitalistica che, proprio grazie alla diffusione del telelavoro, potrebbe
conoscere un’inattesa rifioritura, naturalmente con il computer al posto del telaio o della macchina per
cucire (16).
6.- La subordinazione tecnica.
In base alla legge n. 877 del 1973 , la particolare
subordinazione tecnica, slegata dalla dimensione spazio - tempo, che caratterizza il lavoro decentrato
ricorre quando la prestazione ha il carattere della prevalente personalità, oltre
che dall’assoggettamento delle
direttive predeterminamente impartite
dal committente e della omogeneità di contenuto rispetto all’attività
produttiva dello stesso committente.
A questi caratteri indicati dal legislatore se ne
aggiungono altri di derivazione giurisprudenziale, soprattutto quello della non occasionalità della prestazione e
quindi del carattere continuativo in senso tecnico della prestazione , la
natura imprenditoriale dell’attività svolta dal committente, l’impossibilità
per il lavoratore di rifiutare in qualsiasi momento la prestazione, nonché il
carattere manifatturiero dell’attività
dedotta in contratto e la sua alta professionalità.
Il telelavoro autonomo, “quello autentico”,
consisterebbe nel fatto che la prestazione sarebbe destinata ad uno o più committenti bene individuati e
non al mercato . Inoltre si potrebbe
parlare di telelavoro a
domicilio ogni volta che le particolari
modalità della prestazione non consentano in alcun modo di ritenere di essere
alla presenza di un controllo datoriale continuo e diretto che non sia
meramente iniziale (direttive) e successivo (verifica della rispondenza del
prodotto alle istruzioni): verrebbero così in luce, le ipotesi di telelavoro
individuale non interattivo, off line,
che dovrebbe conseguentemente essere retribuito con il sistema del
cottimo pieno.
Per quanto concerne l’imposizione da parte del
datore di lavoro dei programmi
applicativi, a differenza del
telelavoro subordinato in senso proprio, risulterebbe sufficiente che il software
applicativo sia imposto dal committente, una volta per tutte all’inizio del
rapporto o comunque, senza la facoltà
di una sua modificazione in corso d’opera (17). Qualche problema
potrebbe sorgere in relazione all’omogeneità dell’attività lavorativa rispetto
a quella del committente, che è sicuramente più difficile da verificare nel
telelavoro che nel tradizionale lavoro a domicilio manifatturiero.
Secondo Ichino,mentre in quest’ultimo il requisito
va inteso come omogeneità merceologica, tra attività del lavoratore e attività
del committente, nel telelavoro può essere
inteso come la stretta e specifica appartenenza della teleprestazione al
processo produttivo dell’impresa che ha
dato l’ordinazione (18).
In tal senso dovrebbe escludersi la ricorrenza del
telelavoro a domicilio, ad esempio, nel
caso della generica videoscrittura di testi, salvo che il committente non sia
una tipografia, oppure nel caso della preparazione di buste paga, salvo che il
committente non sia un consulente del lavoro.
Viceversa dovrebbe identificarsi come telelavoro
subordinato a domicilio l’esecuzione elettronica di calcoli per la statica di
strutture di cemento armato qualora il committente sia un’impresa edile, o
la videocorrezione di bozze a favore di
una casa editrice.
Infine,la necessità
di un’interpretazione estensiva della legge del 1973 per la ricomprensione
del telelavoro si evidenzia anche nel rispetto al luogo della prestazione, che
la legge identifica in un locale in cui
il lavoratore abbia la disponibilità: diversamente rischierebbero di rimanere
escluse ipotesi, di telelavoro off line prestato con un computer portatile, che
ovviamente, non richiede il necessario svolgimento della prestazione in un
luogo fisso.
Ricordiamo
le legge del 18 dicembre 1973 n. 77,
in cui si afferma che è lavoratore a domicilio chiunque con vincolo di subordinazione esegue nel proprio domicilio o locale in cui abbia disponibilità
, anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi a carico
ma escludendo manodopera salariata di apprendisti, lavoro retribuito per conto
di uno o più imprenditori utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature
proprie o dello stesso imprenditore anche se fornite per il tramite di terzi.
La subordinazione
agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito
dall’art. 2094 c.c. prestatore di lavoro subordinato, ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le
direttive dell’imprenditore circa le modalità
di esecuzione, le caratteristiche ed i requisiti del lavoro da svolgere
nella esecuzione parziale del completamento o nell’intera lavorazione di
prodotti oggetto dell’attività imprenditoriale del committente.
Non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli
effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato
chiunque esegue, nelle condizioni dei
commi precedenti dell’art. 2094 c.c., lavori in locali di pertinenza dello
stesso imprenditore , anche se per uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in
esso esistenti corrisponde al datore di
lavoro un compenso di qualsiasi natura.
Per completezza di trattazione della fattispecie in
questione, è doveroso pronunciarsi anche sulla questione tanto voluta dal
legislatore europeo riguardo alla sicurezza dei lavoratori e sulla tutela dei diritti della proprietà
intellettuale , norme recepite la prima in Italia nel 1994, l’altra nel 1996.
Il concetto di sicurezza sul lavoro nasce da una
precisa disposizione della carta costituzionale, l’art. 32, che individua la
salute come fondamentale diritto
dell’individuo ed interesse della collettività.
La normativa
contrattualistica esistente in materia di sicurezza sul lavoro si inserisce con superiore valenza normativa grazie
all’intervento della legislazione comunitaria come fonte primaria di produzione
del diritto, poiché nel tempo si è cercato
da parte della comunità europea di sostituire
le leggi nazionali, obbligando la modifica di norme obsolete.
7.- La direttiva 89/391 in materia di sicurezza.
Ne è un esempio la
direttiva 89/391 in materia di sicurezza del lavoro recepita con d.gls.
19 settembre 1994 n. 626.
La sicurezza
abbraccia tutto il mondo del
lavoro e tutte le forme in cui esso si
esplica, é assolutamente evidente che
la tutela della salute vada riferita anche al telelavoro, ma se vi è certezza
sull’applicabilità di questo istituto (norme sulla sicurezza e salute dei
lavoratori), altrettanta incertezza si coglie nel momento in cui ci si rivolge
all’individuazione delle modalità di attuazione di tali misure. Agli obblighi
ed alle responsabilità conseguenti, al
diritto del telelavoratore alla riservatezza del suo domicilio, ed al
corrispondente diritto del datore di lavoro di controllare, nei limiti di legge
e qualità e quantità del lavoro prestato ed effettivo nel rispetto di tutte le
misure di sicurezza poste da lui in essere.
Ripartiamo della definizione di telelavoro, quelle
fornita dall’ufficio internazionale del lavoro: una forma di lavoro, che è
effettuata in un luogo distante dall’ufficio centrale o dal centro di produzione,
che implica una nuova tecnologia che permette la separazione e facilita le comunicazioni.
Quindi il luogo distante dall’ufficio centrale, è la
caratteristica che differenzia questa forma di lavoro rispetto alla generalità
dell’istituto e lo inserisce in una sua sub species che si atteggia in maniera differente a
seconda che la si voglia concretizzare, lavoro parasubordinato, lavoro a
domicilio, lavoro subordinato.
Con il d.gls. n. 626 il legislatore ha inteso confermare e rafforzare il concetto di sicurezza sul lavoro, conferendogli una precisa valenza di obiettivo primario e imprescindibile da qualunque altra motivazione tecnica, organizzativa e produttiva.
Il problema della sicurezza, si pone, o per lo meno,
si pone in termini del tutto particolari , qualora il telelavoratore sia già,
di per se, un imprenditore, un lavoratore autonomo o lo si voglia considerare
un lavoratore parasubordinato.
Nel primo caso quello dell’imprenditore è chiaro che
la dimensione imprenditoriale fa ricadere sul telelavoratore che, in tal caso è
a sua volta datore di lavoro di altri lavoratori subordinati, l’obbligo della
sicurezza sia nella scelta delle attrezzature, sia nell’emanazione delle procedure di lavoro, sia nei controlli sanitari sia nell’adeguamento
dei luoghi lavorativi.
Vale in toto per lui la normativa
attuale, ma in qualità di soggetto
obbligato non di un destinatario di obbligo altrui.
Così si può,
in definitiva, sostenere nel caso in cui il telelavoratore sia lavoratore
autonomo, ai sensi del 2222 c.c. o quell’altra forma di autonomia più
sfumata che risponde al nome di
parasubordinazione.
Anche in tali casi l’obbligo di sicurezza è
svincolato dai doveri del datore di lavoro che utilizza le prestazioni del telelavoratore autonomo o parasubordinato.
Al più potrebbe riunirsi per un generico, dovere di
informazione del datore utilizzatore,
così come richiesto dagli articolo del
d.p.r. n. 547 del 1955 e 6, del d.gls. n. 626 del 1994 : dovere di informazione
che si concretizza nell’obbligo di avvertire il lavoratore autonomo dei rischi
specifici dell’ambiente e della lavorazione, qualora quest’ultimo si trovi di
dover svolgere la sua prestazione nel luogo del datore di lavoro committente.
Tale obbligo datoriale, in virtù della nuova
normativa accompagna l’ulteriore obbligo di coordinamento sempre ai fini
della sicurezza, qualora nello stesso luogo coesistano attività, lavorative appaltate,
poiché se la caratteristica principale del telelavoro è di svolgere la propria mansione in un luogo distante
dall’ufficio centrale, o dal centro di produzione con una tecnologia che
consente la separazione spaziale dell’attività, allora non può che conseguire una pressoché tale assenza di rapporti
diretti del telelavoratore, autonomo e
parasubordinato, con il datore di lavoro committente e quindi una limitazione,
per quest’ultimo, dell’obbligo di sicurezza; le rare volte in cui esigenza di
servizio o eventuali problemi di collegamento irrisolvibili via terminale,
obbligano il telelavoratore a recarsi fisicamente nel luogo di lavoro del datore appaltante, verificando così, il
generale obbligo di sicurezza per tutte le persone che si trovano
all’interno dei luoghi di lavoro, ed in particolar modo nei momenti di utilizzo
delle attrezzature del datore di lavoro
per le attività manutentive o di collegamento.
Problemi diversi
sorgono invece allorquando il telelavoratore sia individuato come lavoro
a domicilio o come lavoro subordinato
decentrato.
Nel primo caso tra l’altro si deve tenere presente
l’art 1, III, del d.gls. 19 settembre 1994 n. 626, nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro a
domicilio (L.18 dicembre 1977, n. 873) le norme del predetto decreto si
applicano solo nei casi espressamente previsti nel contesto del decreto . E siccome
casi in cui il lavoro a domicilio sia
espressamente richiamato dal decreto 626 non se ne rinvengono, appare gioco
forza applicare a tale istituto le norme del d.p.r. n. 547 del 1955 e n. 303
del 1956, aventi carattere generale ove espressamente richiamate dal citato
decreto 626 nonché le statuizioni di quest’ultimo ove, dal contesto generale
appaiono compatibili con la procedura dal lavoro a domicilio esempio lavoro al
video terminale.
Ma a parte l’aspetto meramente terminologico, esiste
nel caso del telelavoro a domicilio, un iniziale problema di fondo rilevabile in forma più lieve
anche nel telelavoro subordinato.
Questione non secondaria perché sulla base di tale
principio, il telelavoratore potrebbe
negare l’accesso al datore di lavoro, quindi rifiutare che quest’ultimo
ponga in essere all’interno del proprio domicilio le misure di prevenzione ed
igiene necessarie a proteggere la
salute fisica e psichica del lavoratore.
Si potrebbe agevolmente superare questo mediante un accordo individuale con i singoli
lavoratori interessati, stipulando una
novazione del rapporto di lavoro per quanto riguarda la sede di svolgimento della prestazione
(per i lavoratori già alle dipendenze
del datore di lavoro) o in sede di assunzione per i nuovi, che comunque definisca il luogo di
lavoro con l’espressa previsione del
diritto datoriale di entrare nei luoghi di pertinenza del lavoratore di porre
in essere tutte le misure di sicurezza e salute relative all’attività da
svolgere.
Discende da questa pattuizione tra le parti la
logica conseguenza che potrà imputarsi
al datore di lavoro la responsabilità
dei danni alla salute del
lavoratore che siano riconducibili alla
propria sfera determinata ad esempio in funzione della pericolosità, nocività delle materie prime e della attrezzature
poste a disposizione del prestatore di lavoro, rimangono quindi escluse ogni
responsabilità relativa a quei fattori di pericolo provocati dal lavoratore nell’ambito della sua disponibilità auto
organizzativa.
La necessità di tale pattuizione tra le parti, tra
l’altro risulta confermata dal fatto che a stretto rigore di legge art 3,
d.p.r. n. 547 del 1955; art 3 del d.p.r. n. 303 del 1956, la normativa di
sicurezza e prevenzione infortuni si applica a tutti coloro che al di fuori del
proprio domicilio prestano la loro attività alla dipendenza delle direttive altrui.
Per tale motivo taluno ha sostenuto e potrebbe
essere una via che, nell’accordo individuale ora citato (o in eventuale accordo
sindacale quadro) sulla cui efficacia, però si nutrono alcune perplessità, l’azienda si potrebbe assumere l’onere di stipulare contratti di
assicurazione a favore dei lavoratori per danni alla salute derivanti dalla prestazione
di lavoro nel proprio domicilio, non tutelato
dalle norme di previdenza pubblica.
10.- Le
coperture assicurative.
Anche, perché a ben vedere, un problema per i telelavoratori a domicilio, strettamente collegato a quanto ora accennato,
riguarda l’applicazione della tutela pubblica contro gli infortuni sul lavoro. Il D.p.r 30 giungo 1965 n. 1124
infatti, da un lato comprende l’assicurazione generale obbligatoria a tutti coloro che, in qualche modo con
qualunque retribuzione lavorano alle dipendenze e sotto la direzione altrui
(art 1) dall’altro però, obbliga il datore di lavoro a tenere, per ogni
lavoratore, un libro paga nel quale indicare il numero delle ore lavorate ogni
giorno, con l’indicazione distinta dalle eventuali ora di lavoro straordinario.
Tale disposizione è difficilmente applicabile, tout court, nel telelavoro, a
causa dell’estrema difficoltà di
individuare, in senso oggettivo, un esatto orario di lavoro.
Il problema forse, potrebbe essere risolto con
l’iscrizione dei telelavoratori nello speciale registro dei lavoratori a
domicilio previsto dall’art 4 della legge n 877 del 1973, il che consentirebbe
art 4 DPR, 1124 del 1965 di applicare a
tali prestatori, in toto, le disposizioni previste dalla predetta legge
per chi svolge attività lavorativa,
appunto a domicilio; ma ove il datore
di lavoro decidesse di mantenere i lavoratori alle sue dirette dipendenze,
l’ostacolo orario potrebbe diventare realmente insopportabile.
Per evitare quindi,
impossibilità di coperture assicurative
si potrebbe da un lato stipulare il contratto di assicurazione privato
accennato precedentemente, dall’altro per tentare di mantenere comunque un
rapporto con l’ente assicuratore pubblico, si potrebbe provare a riferirsi al
t.u. n. 1124 del 1965 che dispensa il datore di lavoro dalla tenuta del libro paga, previo
favorevole dell’Inail, qualora lettera b),
il predetto datore provveda con altri strumenti idonei alle registrazioni prescritte.
Si tratterebbe allora di rinvenire gli strumenti
idonei per consentire all’istituto previdenziale di accertare la retribuzione
effettivamente corrisposta al lavoratore, sulla base della quale calcolare contributi datoriali o indennità da
corrispondere al lavoratore in caso di infortunio professionale.
Una soluzione partecipativa potrebbe rinvenirsi
nella previsione all’interno dell’eventuale accordo sindacale quadro o in quello individuale, di un obbligo del lavoratore
di rispettare un determinato orario di lavoro e di comunicare tempestivamente,
magari a cadenza giornaliera, le eventuali protrazioni di orario derivanti da
maggiori carichi di lavoro o da scadenze improrogabili.
Tutto questo nell’ambito della correttezza e buona
fede nell’esecuzione della prestazione
che restano sempre il fondamento del rapporto di lavoro subordinato (sia o no a
domicilio).
Per tale motivo, al fine di evitare facili tendenze
ad auto estendere le protrazioni
dell’orario di lavoro, si dovrebbe
tentare di mantenere l’orario di lavoro straordinario nei limiti
accettabili, mediante strumenti di controllo indiretto e con l’utilizzo del potere disciplinare; dall’intreccio dei
vari istituti potrebbe nascere, a regime, una standardizzazione dell’orario
di lavoro valida per le finalità assicurative e previdenziali cui si è accennato prima.
Le considerazioni ora svolte per il telelavoro,
inteso come lavoro a domicilio, possono in buona sostanza, ritenersi valide
anche nell’ipotesi in cui il lavoratore sia identificato come lavoratore subordinato
decentrato direttamente dipendente dal datore di lavoro e a lui giuridicamente facente capo per tutti gli aspetti economici
e normativi del rapporto di lavoro.
Rispetto alle precedenti riflessioni non molto deve essere aggiunto relativamente
al tema della sicurezza del telelavoro
per altro si deve sottolineare come in
questo caso, diventino obbligatorie
tutte le prescrizioni del d.gls. n. 626 del 1994 con le numerose e gravose incombenze a carico del datore di
lavoro circa la valutazione del rischio,
l’informazione e formazione dei lavoratori, la scelta del medico competente, le disposizioni in
materia di ergonomia rispetto al posto di lavoro, di orario massimo di
esposizione al video terminale con
conseguenti pause, di nomina e funzioni del rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza.
Si tratta di argomenti sui quali al momento non si
possono proporre che ipotesi di carattere problematico, non tanto per
l’eseguibilità delle disposizioni di legge, quanto per l’efficace controllo
della loro attuazione.
Per rimanere nell’ambito sindacale, si potrebbe nel
caso di specie, essere indotti ad ipotizzare la presenza di un cospicuo numero
di rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza, necessario per la totale coperture dei lavoranti
tutti considerati ,a questo
punto , luogo di lavoro.
Diventerebbe o potrebbe diventare, di difficile attuazione,
la visita periodica, che una o
due volta l’anno, il medico competente deve effettuare ai sensi dell’art 17 del
citato d.gls, insieme al responsabile del servizio aziendale di prevenzione.
Potrebbe infine, diventare di complicata soluzione l’adeguamento del luoghi di lavoro dei singoli lavoratori che
si verrebbe a scontrare, oltre che con gli eventuali problemi di violazione di
domicilio, anche per concrete situazioni di
vetustà degli appartamenti, di mancanza
totale di meccanismi di sicurezza e antincendio, di carenza assoluta di
posti di pronto soccorso.
La sostanziale novità nella normativa del 1994
comporta una riflessione globale indipendentemente
dall’attività dei singoli lavoratori è sicuramente un ulteriore, reale ostacolo
alla piena attuazione del telelavoro in tutti i settori produttivi.
Per quanto concerne la tutela della privacy del
lavoratore, occorre osservare come il potere di controllo del datore sia incorporato
nello strumento di lavoro, il computer, che registra i dati relativi
all’efficienza ed assiduità del lavoro.
Almeno per quanto riguarda il telelavoro
interattivo, on line, il lavoratore si trova costantemente esposto al controllo
del datore fino a divenire il protagonista del c.d. lavoro trasparente.
Se analizziamo
art 4 della legge n. 300 del 1970, che vieta l’uso di impianti audiovisivi
per controllare a distanza l’attività del lavoratore, tende ad eliminare
una lesione particolarmente forte della dignità e riservatezza del dipendente.
In altri termini
mentre si ritiene legittimo il difetto di controllo umano nella misura
in cui il lavoratore ne sia consapevole, l’art 4 presume invece
l’illegittimità del controllo da parte
della macchina per il suo carattere più
subdolo ed occulto, sempre che non sia imposto da esigenze organizzative,
produttive o di sicurezza.
Il problema è di scindere il controllo sulla riservatezza del lavoratore vietato dal controllo tecnico
sull’adempimento della prestazione consentito. Un’operazione sensibilmente più
semplice nel telelavoro off line e molto più ardua in quello interattivo. Su questa linea si potrebbe addirittura
dubitare della stessa ammissibilità giuridica del telelavoro on line, ma la questione è stata superata interpretando
il divieto dell’art 4, con riferimento solo agli strumenti che forniscono una
rappresentazione analogica della realtà come telecamere e microfono.
Al contrario, per gli apparecchi che memorizzano
dati parziali da cui è possibile ricavare informazioni significative solo in via
induttiva, viene in luce il riferimento al tema della raccolta dei dati attinenti alla persona.
Qui opera un’altra norma della richiamata legge n. 300 del 1970 l’art 8, che vieta le
indagini sulle opinioni non rilevanti
ai fini del rapporto di lavoro, e rispetto al telelavoro, può dirsi che il
diritto alla riservatezza si trasformi in diritto del
telelavoratore di controllare l’uso che
viene fatto dei dati riferiti alla sua
persona se non proprio nel divieto assoluto di immagazzinarli.
(1) Gaeta, Lavoro a distanza e
subordinazione, Napoli, 1993.
(2)
Zurla, Lavoro e videoterminali, Milano, 1988.
(3) C. Roma, Il telelavoro: aspetti
giuridici e sindacali, in Il telelavoro. Lavoreremo tutti a casa?, a
cura di B. Grasso, Bari 1996.
(4)
B. Grasso, Il telelavoro, lavoreremo tutti a casa?, cit..
(5) B. Grasso, Il telelavoro, lavoreremo
tutti a casa?, cit..
(6) Gaeta, Telelavoro: l’ufficio a
distanza, Roma, 1995.
(7) P. Zanelli, Nuove tecnologie, legge e
contrattazione collettiva, Milano,1994.
(8) Gaeta, Lavoro a distanza e
subordinazione, cit..
(9) P. Zanelli, Impresa , lavoro e
innovazione tecnologica, Milano, 1994.
(10) C. Roma, Il telelavoro aspetti
giuridici e sindacali, cit..
(11) Gaeta, L’uffcio a distanza ,
Napoli, 1993.
(12) Scarpitti e Zingarelli, Il telelavoro
teorie ed applicazioni, Milano,1993.
(13) P. Manacorda, Aspetti del telelavoro,
in Quaderni del Sole 24 ore,1998.
(14) P. Ichino, Il lavoro subordinato, Mialno,
1992.
(15) P. Ichino, Il lavoro subordinato
definizione ed inquadramento, Milano, 1992.
(16)
R. Rizzo, Telelavoro ufficio a distanza, Napoli, 1996.
(17) Fabbris, Organizzazione, autorità
parità nel rapporto di lavoro, in Imprenditore ed impresa, vol. I,
1997.
(18)
P. Ichino, Il lavoro subordinato definizione ed inquadramento,
cit..